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La Vite: un amore travolgente

La Vite: un amore travolgente

La Vite: un amore travolgente

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C’era una volta e ancora oggi c’è: potremmo iniziare così questa storia, una storia lunga decine, centinaia di migliaia, anzi, milioni di anni, che racconta di un amore.

Curiosi?

Fin dall’inizio è stato un amore travolgente tra l’uomo e la vite. Fin dall’inizio… nel vero senso della parola! Macchina del tempo puntata sul periodo delle glaciazioni del Pleistocene, appena appena qualche annetto fa.

Giusto per saperlo: con il Pleistocene, più o meno 2 milioni e mezzo di anni fa, inizia ufficialmente l’Era Glaciale; vi ricorda niente il film d’animazione con Sid e Manfred? Sì, quella: la prima epoca del periodo Quaternario. Il quaternario, comunque, continua ancora oggi ed è infatti il periodo in cui viviamo attualmente È un’epoca segnata da profondi cambiamenti nel clima, nella flora e nella fauna, grazie ai quali si svilupperanno specie straordinarie. Durante il pleistocene si susseguiranno eventi che plasmeranno il pianeta fino a renderlo definitivamente quello che è oggi.

È durante quest'epoca che appaiono le piante e gli animali che esistono anche oggi. E anche le prime specie di genere Homo, con l’H davanti… homo habilis, homo ergaster, homo erectus. In questo periodo la vitis vinifera trova il suo habitat perfetto e naturale nei territori del bacino del Mediterraneo e nei territori asiatici che oggi corrispondono all’Armenia, Georgia, Iran e Iraq. Una pianta forte, visto che le condizioni ambientali e i territori non è che fossero così accoglienti, tant’è che riesce a svilupparsi in ben due sottospecie: Vitis vinifera Sylvestris e Sativa.

Ok, ma questo amore come nasce?

Visto che la vitis, a quei tempi, non è altro che un arbusto rampicante con radici estese, fusti tortuosi e rami lunghissimi? E, a dirla tutta, i frutti sono anche un pò aspri. Beh, in realtà, quei frutti nascondevano un segreto che l’uomo scoprì per puro caso. Qualche raccoglitore, nella notte dei tempi, mise infatti dei grappoli in una borsa fatta di pelli di animali, magari per mangiarlo dopo e, forse per dimenticanza, la lasciò lì. Trascorso qualche giorno, a causa del peso dei grappoli, si produsse del succo che, col tempo fermentò.

L’uomo lo assaggiò e... "Wow, buono!". Ma soprattutto pensò: "mi fa sentire allegro… devo berne ancora!"

Prima che diventi aceto! Eh già non conosceva la conservazione e non aveva bottiglie con il tappo. E così nacque l’amore, per una… dimenticanza.

Bene, siamo arrivati al punto: l’uomo scopre la vite, anzi, la vitis. E ora che succede? Succede che la addomestica. “Domesticazione”. Che parola strana vero?

Per capire cosa si intende per "domesticazione" facciamo un salto in avanti di qualche milione di anni, fino al XIX secolo. Ma come se siamo nel Pleistocene? Certo appunto! Immaginiamo il circo. Proprio il circo dove c'erano i domatori di elefanti, di tigri e anche, passatemi il termine, gli addomesticatori di pulci. I domatori erano personaggi mitici, che sapevano trattare con le tigri senza essere sbranati, con gli elefanti, senza essere schiacciati, e con le pulci… senza farle saltare via. Come facevano? Col carisma? No, con una tecnica ampiamente consolidata: li addomesticavano, facevano in modo, cioè, che questi animali si comportassero così come voleva “l’uomo”. Diecimila anni prima del circo Barnum, d’altronde, già l’uomo aveva addomesticato quei cuccioli di lupo dall’indole più amichevole e aveva creato il cane. Trasformando cioè qualcosa di selvaggio, in qualcosa di domestico: a misura esatta dell’uomo. La stessa cosa è capitata alle piante e, in particolare alla nostra pianta, la vitis: l’abbiamo addomesticata.

Ma come si fa ad addomesticare una pianta? All’inizio abbiamo detto che la Vitis era una pianta selvatica, un arbusto rampicante e che nessuno considerava, cosa avrebbe potuto offrire? Torniamo al nostro antenato del pleistocene. Vede quelle bacche, le assaggia facendo attenzione e dice "buone!". Soprattutto non velenose, le mette nella borsa, fermentano, assaggia, si ubriaca: la cosa promette bene. Quella pianta ha potenzialità. Si mette di buzzo buono e inizia a lavorarci. Come con i cuccioli di lupo la incrocia, seleziona i vitigni, salva i più dolci, la ripianta e, attraverso migliaia di tentativi la trasforma. La addomestica. E per fortuna che ha provato! Perché ci ha dato la possibilità di scoprire tutta una serie di qualità che aveva e che noi neanche immaginavamo, non solo quel succo dolce che metteva allegria!

Facciamo un passo in avanti, un bel passo, arriviamo agli sgoccioli del Pleistocene, 10.000 anni fa sul del Monte Ararat, nei territori della “mezza luna fertile”, tra il Tigri e l’Eufrate, dove oggi c’è l’Iraq, più o meno. Qui si alleva la vite, sono i territori in cui gli Assiri, i Babilonesi, i Sumeri lavorano a perfezionare quella domesticazione iniziata milioni di anni prima e non ancora conclusa. Un pò come il gatto che non è completamente addomesticato come il cane e mantiene sempre un lato selvaggio, un pò brusco proprio come la vitis di allora. Qui, nella mezzaluna fertile, la domesticazione compie il suo percorso, e abbiamo finalmente la vitis vinifera. Immaginate un allevamento di viti…

Ricapitolando, per non perdere il filo: domesticazione, coltivazione, raccolta dei frutti, fermentazione, produzione di vino. Un ruolo fondamentale in quest'ultimo passaggio, della produzione e poi distribuzione, lo ebbero i Fenici, veri e propri uomini d’affari che compresero l’importanza e i vantaggi del commercio del vino già 4000 anni fa. Passando dall'antica Grecia, questi mercanti straordinari decisero di fermarsi nei mercati per barattare il vino, ed è così che questa gloriosa bevanda inizia a diffondersi all'interno del bacino del Mediterraneo. Immaginiamo con quanto entusiasmo!

Poi, i Greci (che ci vedevano lungo) si dissero: "ma perché sprecare risorse economiche per questo nettare degli dei prodotto da altri? Non siamo capaci anche noi di produrcelo?". Detto fatto, hanno iniziato ad allevare la vite, comprando la pianta invece del prodotto finale. E scoprirono che, anche grazie al loro clima, questo nettare era molto più buono. E dobbiamo dirlo: i Greci erano anche più tecnologici, utilizzavano resine per una migliore conservazione e costruivano anfore adatte come i phitos.

Una piccola curiosità sulle anfore: i romani le chiamavano "dolia" (o "dolium" al singolare), ed erano talmente grandi che dentro poteva entrarci un uomo. Si narra infatti che Euristeo, spaventato alla vista del cinghiale di Erimanto (il cinghiale poi catturato da Eracle) ci si nascose dentro. A proposito di Anfore, è proprio grazie a loro che oggi possiamo raccontare di vite, di vino, di vinificazione. Tracce di uva pressata e conservata sono state trovate in alcuni frammenti di vasellame risalenti a 7.000 anni fa, in un villaggio neolitico sui monti Zagros, in Iran, e poco più avanti, a 300 km a nord nel villaggio armeno di Areni, gli archeologi hanno trovato una pressa per pigiare l’uva, botti di fermentazione, giare e tazze usate per il vino di 4.000 anni fa.

Parlando di vite e di vino… pare che la più antica cantina sia quella di Godin Tepe , un sito archeologico scoperto nel 1961 e portato alla luce tra il ‘65 e il ‘70, dove sono state rinvenute anfore contenenti residui di vinificazione datati intorno al 3500 A.C.

A questo punto ho deciso… da grande farò l’ampelografo, l’esperta di ampelografia. "Ampe" cosa?…. la disciplina che studia, identifica e classifica le varietà dei vitigni, dal greco ampelos che significa appunto "vite" e "grafia", cioè descrizione.  Pare, si narra, che il nome derivi da quello del giovane Satiro Ampelo, amato dal dio Dioniso, dio greco dell'estasi, del vino, dell'ebbrezza e della liberazione dei sensi.

Potete dire ora che non conoscete la vite? Anzi la vitis vinifera? Di sicuro i suoi frutti sì!

A proposito (Messaggio Promozionale):

Lo sapevate che non solo l'uva ma la pianta della vite, grazie alle sue proprietà, può aiutarci a mantenere un corretto stile di vita? Fleboral 100 e Fleboral 300 sono integratori alimentari a base di estratto secco di Vitis Vinifera. La Vitis Vinifera aiuta a migliorare la funzionalità del microcircolo e, grazie alle sue proprietà antiossidanti, contribuisce alla regolare funzionalità dell'apparato cardiovascolare.

Gli integratori non vanno intesi come sostituti di una dieta alimentare variata ed equilibrata e uno stile di vita sano. Leggere attentamente le avvertenze e le istruzioni d’uso.


La ricetta: con le foglie della vite si possono preparare piatti gustosissimi

Nelle tradizioni alimentari di molti Paesi, soprattutto Grecia e Turchia, le foglie di vite rappresentano uno degli ingredienti fondamentali di un famoso piatto: i dolmades, realizzati proprio con le foglie di vite. Una pietanza antichissima, citata anche nella tragedia di Antigone di Sofocle dove venivano offerti a Creonte tiranno e re di Tebe, per sedurlo e rabbonirlo visto il temperamento iroso. Un classico mezèdes greco, un antipasto. Involtini, così li chiamiamo noi e si possono fare in bianco oppure con pomodoro, e con carne mista come il maiale e l’agnello o, volendo, anche solo maiale, con riso, con verdure ecc.

Le foglie di vite si trovano in vendita già sbollentate pronte all’uso, non in tutti i supermercati però. Acquistarle online è più semplice oppure nei supermarket biologici. Iniziamo con i dolmades alla carne: carne di maiale e di agnello, cipolla, olio evo, sale, pepe, cumino, pomodoro. In padella, un filo di olio extra vergine, fuoco basso, soffriggiamo la cipolla grattugiata. Aggiungiamo la carne, meglio se trita, un pizzico di sale, pepe, qualche spezia come il cumino. Facciamo cuocere per una quindicina di minuti. Prendiamo ora le foglie. Come ho detto in commercio si trovano già sbollentate. Apriamole e mettiamo all'interno il composto di carne . Chiudiamole bene dai lati e posizioniamole strette strette una pirofila, aggiungiamo dell'olio e,  se piace, della salsa di pomodoro. Mettiamo la pirofila in forno coperta con della stagnola in modo che la foglia non si secchi, per 20 minuti a 180 gradi.

Un’altra versione classica greca è il dolmades con il riso (200 gr di riso, olio evo, cipolla, aglio, aneto, 50 gr di uvetta, acqua quanto basta). In una casseruola, un filo d’olio extra vergine di oliva, una cipolla grattugiata con un pezzetto d’aglio e fare soffriggere. Aggiungere dell'aneto e dell'uvetta passa, il riso, qualche minuto di tostatura e poi togliere dal fuoco. Nel frattempo apriamo la foglia. Mettere all'interno il riso “tostato”, aromatizzare con un pizzico di cannella, se piace (ma vi assicuro che ci sta davvero bene), chiudere bene gli involtini. Rimettere gli involtini nella casseruola che abbiamo utilizzato per tostare il riso e coprire con l’acqua a livello raso; se si riesce, mettere sopra un peso come un piatto. Per una versione un pò inusuale, sostituire una parte di acqua, più o meno la metà, con del barolo. Anche questo gli antichi Greci non lo facevano, ma noi sì! Fuoco basso per 40 minuti. Potete realizzarli anche con carne e riso insieme, o del grano, oppure per una versione veg con delle verdure tagliate a cubetti e ripassate in padella (zucchine, melanzane, peperoni, porro, cipolla, funghi) aggiungendo dei pinoli e qualche spezia (cumino, cannella, timo). Si possono servire così semplici oppure con una salsa a base di yogurt greco. Buon appetito! Anzi un buon antico appetito. Alla prossima puntata.

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