Salute e bellezza delle gambe

Vite e bellezza: siamo tutti un po' Narciso

Vite e bellezza: siamo tutti un po' Narciso

Vite e bellezza: siamo tutti un po' Narciso

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C'era una volta e ancora oggi c'è: la bellezza.

Ma cos’è la bellezza?

Che domanda filosofica vero? Se parliamo di bellezza la prima cosa che dobbiamo tenere in considerazione è che, nei secoli dei secoli, è cambiata. Anche tanto.

Cosa significa che la bellezza è cambiata? Un passo alla volta. Proviamo a pensare: ciò che per noi è bello potrebbe non esserlo per chi ci circonda e probabilmente non lo sarà per i nostri discendenti. E' l'idea di bellezza che cambia nel tempo, anche se non per tutti allo stesso modo. Per esempio, prendiamo gli uomini, la bellezza maschile è quella da sempre. Guardiamo le statue greche e romane, cosa vediamo? La perfezione estetica: un corpo atletico, muscoloso, armonico con misure e proporzioni precise. Questa è la bellezza maschile ed è sempre stata così, con qualche piccolo aggiustamento, ad esempio nei volti. Salto in avanti nel tempo, prendiamo ora le statue rinascimentali. Avevano normalmente un corpo giovane, vigoroso, atletico ma una testa, rispetto alle statue greche, più anziana. In che senso? Nel senso che a quell’epoca si mettevano insieme due aspetti della bellezza maschile: quella fisica e quindi la potenza maschile e quella mentale, perché la maturità conferisce una maggiore consapevolezza Insomma: gli uomini cambiano poco o pochissimo.

Se parliamo invece di bellezza femminile, qui la faccenda cambia completamente. Partiamo dalle prime veneri scolpite nel Paleolitico, anzi dalla statuetta della Venere di Willendorf che risale più o meno a 30.000 anni fa, legata al culto della terra, che rappresenta la donna ideale di quel periodo: è una figura completamente sferica, che evoca la fertilità, la fecondità. Potremmo definirla bella? No? Nel Paleolitico non era solo bella, era perfetta! Ma senza andare così lontano, stiamo ai nostri tempi, o quasi, prendiamo il ‘900. Negli anni ’20 la bellezza femminile è androgina e le donne erano sottili, quasi senza forme. Negli anni ’50, appena 30 anni dopo, si celebravano le pin up, che erano un’esplosione di forme sinuose e seducenti.

La bellezza, anzi l'idea di bellezza evolve, cambia, a volte ritorna. È perfino difficile definirla. Se parliamo di bellezza intesa come perfezione e armonia delle forme, gli antichi greci avevano una divinità che la rappresentava: Apollo, perfetto, statuario, un Dio appunto. Ma i greci, che ci vedano lungo, avevano anche capito che non esiste solo quel tipo di bellezza, perfetta, senza sfumature né sbavature. C’è la bellezza sensuale, e di quella si occupava Afrodite. Ma c’è anche una bellezza disturbante, imperfetta, ambigua, legata non alla contemplazione o alla carnalità ma all’imprevedibilità, capace di portare le persone fuori di sé e di travolgerle. Quindi a fianco ad Apollo ecco apparire Dioniso, esattamente l’opposto: se Apollo è la bellezza maschile perfetta, canonica, Dioniso è una bellezza androgina, è pura sensualità e pura emozione, fatta di imperfezioni. Apollo e Dioniso “armonia contrastante come dell’arco e della lira” come diceva Eraclito. Non ditelo a nessuno ma Dioniso è il Dio greco della vite, del vino e del delirio mistico, dell'estasi, dell'ebbrezza e della liberazione dei sensi. Ho detto tutto.

Quindi il collegamento fra la bellezza e la vite vale solo per Dioniso e non Apollo? Niente affatto. Il vino e l’estasi di Dioniso sono una cosa, i cosmetici ricavati dalla vite sono un’altra, ed entrano in grande stile fra i prodotti usati da donne e uomini nel tempo per migliorare il proprio aspetto. Quando si parla di bellezza e di cosmesi, i frutti della vite sono un ingrediente prezioso; ad esempio aiutano a combattere le odiatissime rughe, funzionano da antiossidanti e svolgono una funzione antiage. Tutti vorremo diventare loro inseparabili amici… Tant’è che sin dall’antichità nella beauty routine quotidiana, la Vitis Vinifera aveva un ruolo di primissimo piano. Chi pensava servisse solo a produrre uva e vino si sbagliava di grosso!

Macchina del tempo puntata intorno al 50 a.C. Egitto. Cleopatra. Una delle donne più odiate, amate, disprezzate e rispettate dell’antichità. Ma anche la regina che più fece tesoro dell’esperienza millenaria del suo popolo nel mondo della cosmesi. Ancora oggi quando si racconta di lei si dice che conoscesse più di mille segreti di bellezza. Una curiosità: scrisse libri di medicina e cosmetica come il Kosmeticon, un trattato di ricette e di fragranze, che purtroppo però non è arrivato sino a noi. Si dice che utilizzasse proprio il suo famoso naso dalla forma imperfetta per creare gli aromi descritti nella sua opera. Dotata di fascino e di grande intelligenza, Regina a soli 18 anni, capì in fretta che per salvare il suo popolo, e se stessa, doveva usare l’arma più potente che aveva a disposizione, la propria bellezza. E infatti se ne servì per sedurre prima Giulio Cesare e poi Marco Antonio. Potremmo dire che la fantasia per sedurli non le mancava di certo. Prima Cesare se la ritrovò avvolta in un tappeto di canapa e poi Antonio la vide per la prima volta, portata lungo il Nilo, su una meravigliosa barca d’oro, governata dalle sue ancelle vestite come sirene. Una barca che aveva i remi d’argento, il cordame di seta e le vele rosso vivo intrise di un profumo intenso e inebriante, forse a base di rosa. Più che l’incontro con una regina, l’incontro con una dea.

Per apparire sempre così splendida, la regina aveva una rigorosissima beauty routine quotidiana, ed era escluso che, in mancanza di essa, si facesse vedere da qualcuno. Ma questa, alla corte d’Egitto, non era affatto una cosa strana. Giusto per saperlo, non solo i Faraoni ma anche gli uomini egiziani esaltavano la propria bellezza con trucco, parrucco e quotidiana beauty routine. Tutti nell’antico Egitto erano attenti al loro aspetto estetico, sempre e comunque. Cleopatra faceva ben quattro bagni al giorno nel latte fresco di asina per rendere la pelle setosa e morbida. A volte faceva aggiungere un po' di miele, a volte un po' di sterco di coccodrillo (convinta lei). Non mancavano i sali del Mar Morto per contrastare la fastidiosa pelle a buccia d’arancia. Dopo ogni bagno purificava la pelle con della farina d’avena usata come talco. L’avena deterge e quindi la faceva mescolare con del latte tiepido per creare una sorta di crema da spalmare sul viso, da lasciare in posa qualche minuto prima di essere sciacquata, una moderna maschera di bellezza. E non vuoi poi fare un bel massaggio rigenerante? E qui la nostra Vitis Vinifera entra in campo come elisir di benessere e bellezza. Non a caso il poeta Ovidio celebrava il vino come essenza con la quale “se ne vanno dolori e affanni e rughe dalla fronte”, ed è per questo motivo che Cleopatra si lasciava sedurre da massaggi al mosto e alabastro.

Giusto per saperlo: divinità e bellezze antiche si immergevano in vasche ricolme del nettare di Bacco, di vino, o preparavano unguenti utilizzando erbe, miele, vino e latte d’asina. Nell’antica Roma il mosto d’uva scartato durante la vendemmia veniva conservato per essere utilizzato come cicatrizzante per le ferite, un po' come facevano le mamme agli inizi del 1900, nelle campagne, che utilizzavano il vino per disinfettare la pelle dei bimbi, sostenendo che la rinforzasse. Anche i capelli per Cleopatra erano importanti, è risaputo, la sua chioma nera è un must! Un po' di burro di cocco con l’aggiunta di olii come quello di cedro, di sandalo e di mirra per nutrirli, rinforzarli e renderli lucidi. E poi balsami, tanti balsami, al giglio, alla maggiorana, alla trigonella greca. Questo è interessante e davvero curioso. Marco Antonio regalò a Cleopatra una fabbrica di profumi vicino al Mar Morto. Potremmo definirla una grandiosa officina dove si producevano cosmetici e dove le clienti restavano in attesa sedute sui sedili di pietra. Nove saloni, due mulini rotanti che servivano a triturare semi e radici, due grandi vasche per macerare i petali dei fiori, due forni e un focolare per gli unguenti. Ci sono persino le tracce di una torretta usata per controllare le piantagioni circostanti e i celebri fanghi del Mar Morto.

Sul fatto che questa officina della bellezza sia appartenuta a Cleopatra ci sono ben pochi dubbi: nel 34 avanti Cristo, Antonio fece sì che Erode il Grande, cedesse a Cleopatra la regione del Mar Morto a sud di Gerico per lo sfruttamento minerario e termale. È qui che si distillava il leggendario Balsamo di Giudea, ottenuto da un arbusto introdotto in Israele dalla regina di Saba che lo diede in dono a Salomone. Ora immaginate questi unguenti profumati spalmati sulle vele della sua nave, e pensate che effetto dovevano fare al suo passaggio lungo il Nilo. Quelle vele erano così profumate, scrive Shakespeare – “che i venti languivano d' amore". Il profumo, non ancora a base alcolica ma a base di olii, era parte integrante della civiltà egizia e faceva da intermediario fra l’uomo e gli Dèi. È nato nei templi ed era presente in tutti i rituali: purificava, metteva in contatto con gli Dei, veniva utilizzato nei riti di imbalsamazione dei defunti. Da sostanze magiche e terapeutiche, i profumi rapidamente diventano strumenti di seduzione grazie al loro potere di evocare sensazioni. Il profumo originale utilizzato dai faraoni è il “Kyphi“, Plutarco scrive: “Il kyphi è un profumo composto da 16 sostanze: miele, vino, uva passa, cipero, resina, mirra, legno di rosa; si aggiunge lentisco, bitume, giunco odoroso, pazienza, ginepro, cardamomo e calamo aromatico…ma non a caso, bensì secondo le formule indicate nei libri sacri” e l’odore è forse troppo pungente per le narici dell’uomo moderno”.

Ricapitolando: bagno fatto, scrub corpo e maschera viso fatti, massaggi fatti, trattamento intensivo capelli fatto, manca solo un adeguato make-up e Cleopatra è pronta per sfoggiare la sua bellezza e mettere alla prova le sue doti da seduttrice. Una curiosità: anche Lucrezia Borgia, figura discussa e controversa del Rinascimento Italiano, sembra apprezzasse le proprietà benefiche del vino e dei suoi derivati, infatti le utilizzava molto spesso anche per prendersi cura della sua bellezza. Duchessa di Ferrara dal 1505 fino al 1519 era considerata una donna bellissima. Nelle sue stanze del Castel Vecchio, cioè il castello Estense, Si pensa potesse far uso anche di acque a base di sostanze naturali per rendere bionda la sua chioma leggendaria. Lucrezia amava lavarsi spesso i capelli e anche tingerli. Questo è interessante: A Ferrara nel Palazzo Ducale c'è il “camerino delle duchesse”, pare realizzato per Eleonora e Lucrezia d’Este figlie del duca Ercole II. Un luogo dove potersi vestire, pettinare e farsi belle. Un piccolo salone di bellezza riccamente decorato tra il 1555 e il 1560 da Cesare, Camillo e soprattutto Sebastiano Filippi. Nel Rinascimento vengono introdotti i profumi a base alcolica come per esempio l’acqua di rose. Queste acque inoltre se allungate con acqua venivano utilizzate per profumare gli ambienti. Beauty routine tutti i giorni allora!

A proposito (Messaggio Promozionale):

Lo sapevate che non solo l'uva ma la pianta della vite , grazie alle sue proprietà, può aiutarci a mantenere un corretto stile di vita? Fleboral 100 e Fleboral 300 sono integratori alimentari a base di estratto secco di Vitis Vinifera. La Vitis Vinifera aiuta a migliorare la funzionalità del microcircolo e, grazie alle sue proprietà antiossidanti, contribuisce alla regolare funzionalità dell'apparato cardiovascolare.

Gli integratori non vanno intesi come sostituti di una dieta alimentare variata ed equilibrata e uno stile di vita sano. Leggere attentamente le avvertenze e le istruzioni d’uso.

La ricetta: con la vite, con i suoi frutti così dolci e profumati, si possono preparare piatti gustosissimi

Come la schiacciata con l'uva, una focaccia dolce tipica della Toscana. Una ricetta dalle origini antichissime, pare risalgano addirittura al periodo etrusco.

Un dolce composto da farina di frumento e arricchito da acini d’uva nera. Il piatto era accompagnato molto probabilmente, da una bevanda a base di vino aromatizzato con spezie e miele. Purtroppo, non si hanno riscontri di ricette scritte della schiacciata con l’uva che accertino l’autenticità della sua composizione, si presuppone sia stata tramandata verbalmente di madre in figlia nella cultura contadina in quanto di semplice realizzazione e preparata con materie prime povere e facilmente reperibili in campagna, quali l’impasto del pane lievitato avanzato, l’olio EVO Toscano, l’uva da vino e lo zucchero.

Ha una consistenza morbida ma soprattutto un profumo e un sapore intenso di mosto! E si prepara durante il periodo della vendemmia.

La tradizione vuole che per la sua preparazione, si utilizzino esclusivamente uve canaiolo a bacca nera, dalla intensa tinta e dagli acini piccoli, dal sapore dolce e con un leggero retrogusto acidulo; nella ricetta originale è essenziale non privare gli acini dei loro semi, e deve essere servita rigorosamente fredda.

Giusto per saperlo: l’uva canaiola è una varietà tipica del Chianti, un’uva da tavola nera deliziosa dai chicchi piccoli e dolci. Nella ricetta si può sostituire con uva fragola, più comune e reperibile.

Iniziamo!

Prima di tutto dobbiamo preparare la pasta lievitata:

5 gr lievito birra

250 gr farina manitoba

150 gr acqua da misurare anche in base alla qualità della farina

25 gr olio evo

5 gr sale

sciogliamo il lievito nell'acqua, meglio se tiepida, prendiamo una ciotola abbastanza capiente e mettiamo la farina, aggiungiamo il lievito sciolto, iniziamo ad impastare. Se si dispone di una planetaria si farà sicuramente meno fatica, ma volete mettere come ci si sente con le mani in pasta?

Poco alla volta aggiungiamo l’olio , continuando ad impastare. Per ultimo il sale.

Continuiamo a impastare fino ad ottenere un panetto omogeneo, nel caso risultasse troppo “asciutto” aggiungere un filo d’acqua.

Copriamo con un canovaccio o con della pellicola trasparente lasciamo lievitare circa 1 ora e mezzo a temperatura ambiente.

Intanto che la pasta lievita concentriamoci sulla farcia:

4 grappoli di uva da vino con i semi

200 gr zucchero

Semi di anice, se piacciono.

Una curiosa alternativa, non tradizionale, è la cannella oppure il lemon grass.

DRINN!!! Ecco pronta la pasta, prendiamola e dividiamola in 2 parti. Prendiamo una teglia da forno, ungiamola con un po' d’olio e stendiamo con le mani il primo pezzo di pasta. Ora posizioniamo vicini vicini i chicchi di uva, assolutamente ben asciutta, e spolverizziamo con lo zucchero NON tutta l’uva però! Manca l’altro strato di pasta con il quale copriremo e chiuderemo i bordi.

Ora possiamo mettere sulla superficie l’uva rimasta con un'altra spolverata di zucchero e i semi d'anice. 

Lasciar lievitare per un'altra ora circa.

Nel frattempo, preriscaldare il forno a 185°, inforniamo per circa 45 minuti.

Mi raccomando, lo so che sarà difficile, ma aspettate che si raffreddi prima di addentarla!

Non mi resta che dirvi "Buon appetito!", anzi, un buon "antico" appetito. Alla prossima puntata.

Video

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